sgiunz ho bisogno di parlarti davvero, quindi chiamami per favore.

 

ti prego.

#14. non sa nemmeno che esisto. Aveva la testa ricoperta da riccioli neri e io rimenevo immobile a guardarlo per tutto il tempo. Quando dormiva la bocca era una linea retta che sembrava disegnata, a volte ci toccavamo le punte dei piedi come fossimo allo specchio. Poi un giorno ha smesso di prendere il treno.

#15. ha rovinato tutto.

La parte che mi piace di più quando si raccontano le storie è quando il passato si trasforma in presente, e #16.  è il mio presente, in tutti i sensi.

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fine

Di #10. mi viene in mente il suo corpo in ombra dietro la tenda della doccia, la testa abbassata e le mani lungo i fianchi. La barba da giorni lavata con lo shampoo e io che stavo seduta sul tappeto perchè mi piaceva il vapore. Abbiamo riso e pianto tantissimo. Poi l’ho perso e sono rimasti i fiori finti da cambiare di nuovo.

#11. e i concerti dei Muse in salotto in piedi sui divani. Butterflies and hurricanes, sigarette, mani tra i capelli. Disegnavo i suoi mostri con la matita leggera. Non abbiamo fatto altro che presentarci amici per tenerci lontani.

Quando sono entrata a casa di #12. ha detto io mi faccio la doccia, tu scegli una cosa qualsiasi che ti piace e tienila. Ho aperto scatole di cartone sul pavimento del corridoio e ho scelto una matita blu, come a dire che del tutto non mi fiderò mai.

#13. scriveva messaggi senza spazi tutto attaccato senza tempo per respirare e non apriva mai gli occhi. Alle sei ci si telefonava ti racconto come è andata oggi prendila quella maledetta patente mi sono tagliata i capelli. I baci come i terremoti e i mozziconi spenti sulle felpe. Ci dividevano chilometri di ferrovie ma ci bastava un po’ di carta stagnola.

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Con #5. fumavo sulle panchine gelate, pieno inverno. Parlavamo di altro. Aveva giacche larghissime e un piercing sulla lingua. Non ho più voluto saperne.

#6. suonava i Guns’n’roses e gli ho tatuato un pinguino dei polaretti sul braccio in cambio di un plettro viola. E’ durata circa quindici minuti.

Ho conosciuto #7. in fila per le montagne russe, lo prendevo in giro per l’accento di Bergamo e lui mi ha regalato una corona di cartone. Per messaggio diceva che mi amava ma quando l’ho rivisto aveva i capelli lisci di piastra e l’apparecchio.

#8. arrivava con ore di ritardo e punk adolescenziale a tutto volume. Era il più bello della fermata dell’autobus e mangiavamo fruitjoy. Fumavamo in macchina con i finestrini chiusi, per far bruciare tutto.

#9. a otto anni ha promesso di sposarmi e io ci credevo davvero.

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(la scelta dell’imperfetto è perfetta)

Io e #1. avevamo le stesse scarpe e mi portava dietro in piedi in bici e poi da grandi mi portava davanti seduta in macchina e i sedili si sdraiavano così tanto da diventare letti e io avevo attaccato le stelle luminose al soffitto e quando si staccavano dicevo guarda, una stella cadente! Ho ricevuto il mio primo regalo per San Valentino: una mucca milka pupazzo che vibrava quando tiravi la coda. Era della sorella, che ovviamente l’ha rivoluta indietro. Io avevo il colletto della polo alzato e la testa rasata. Avevo anche dei jeans con una riga catarinfrangente sulle cuciture ma non ne ho mai approfittato abbastanza. Un giorno mi ha lanciato nella fontana e poi non ha fatto altro che urlare fortissimo. Mi ero messa con #2. di nascosto e avevo  un ultimatum.

#2. aveva le sopracciglia diagonali che voleva dire sono sempre arrabbiato con te. Lo guardavo nello spogliatoio mentre si faceva la doccia e lui non lo sapeva. Sono stata scaricata cronologicamente in questi posti: monumento ai caduti, campo di calcio, io fuori dal balcone e lui giù in strada, giocando a uno, seduti dietro in macchina, in edicola. però il primo bacio era gusto aranciata davanti a una che si chiamava Jessica.

#3. era solo per far ingelosire #2. che chiaramente nonostante tutto ancora mi faceva cadere ai suoi piedi. Ma #3. mi amava davvero e aveva le meches e mi portava lo zaino dalla fermata dell’autobus fino a casa.

#4. mi ha tenuto anche la mano sul regionale roma-bologna ma poi non ha più voluto saperne.

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Ti ricordi quando ho sognato che andavo in Cile dentro una scatola? Nei portarullini ci mettevo il fumo. Ora vorrei una quarantacinquegiri di te che respiri lentamente e fai le doppie voci a Colapesce mentre guido.
Si riesce a sentire perfino il rumore di quando appoggi la mano sulla mia e non voglio più cambiare.

Le marce e tutto il resto.

Se non ho le mani fredde vuol dire che non sto bene, creare il panico con una doppia negazione. Mi sorridi che sembra mare aperto e io sto immobile, non muovo nemmeno le braccia così per affogarmici. Preparo la colazione sull’atlante aperto, il cerchio bagnato della tazza è dove voglio stare. Mi tocco i capelli e mi viene da pensare a quanto è piccolo il mondo quando incontri le persone in paesi che non immagineresti mai, a quanto è piccolissimo il mondo se lo usi per appogiarci la marmellata di mirtilli e il burro e il miele e.

adesso basta girare, fermati.

*

A Chicago le case si comprano a centimetro quadrato, 30X30. Dobbiamo muoverci continuamente per non riempirci di polvere, al mio tre ci togliamo le magliette. Leggo ad alta voce e piano, perdo prima la voce e poi l’abbronzatura, leggo per un tempo lunghissimo e mi trasformo in suono. Tu invece accavalli le gambe. Penso a quando non vedi il mare per tutto l’anno e poi è estate e al primo bagno ti stupisci ogni volta che l’acqua è salata, anche se lo sai.

E lei, lei stava buttata sul fianco con le braccia intrecciate tra loro senza un posto preciso dove stare. E lui, lui era vicinissimo con gli occhi puntati sulle travi del soffitto. Al nostro matrimonio al posto del riso ci lanciano le bolle di sapone – dice.

Ti faccio le foto ai piedi e poi le usiamo per la copertina del disco e nel frattempo passa un sacco di tempo ma noi no. Hai i piedi per terra, mica sul cemento ma sull’erba, dove si fanno i picnic. Tutto torna: sei tu anche se non ti si vede la faccia. Tu suoni io ballo con la testa, schiocco le dita anche se non so mai quando è il momento giuso, sul rullante o sulla cassa?

A volte non c’è bisogno del fragore che c’è fuori, abbiamo tutto a portata di mano.

schiaccia play

La colazione con i gomiti appoggiati sul tavolo della cucina. Ogni tanto mi tocco la faccia per sentire se è completa, magari ne ho dimenticato qualche pezzo sul cuscino. Tolgo l’elastico dal polso e lo metto tra i capelli, resta il segno scavato nella pelle. Guardo fuori e penso basta con questi post, scriviamoci post-it.